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Raccontare è costruire, sperare, formare

“Raccontarsi significa avere la necessità di far conoscere la malattia di nostro figlio, affinché anche il semplice arrivo in un Pronto Soccorso possa essere facilitato dalla presenza di persone che sappiano e capiscano di cosa stiamo parlando e tempestivamente agiscano. Non c’è tornaconto economico nel mettere a disposizione la nostra esperienza. Raccontarsi significa dar modo a chi, in una fase iniziale della malattia, si trova ad affrontare situazioni inaspettate di sapere come muoversi, dove andare per avere informazioni. Raccontarsi significa continuare a sperare di non essere lasciti in un dimenticatoio, sperare che la ricerca possa un giorno dare modo ai nostri figli di vivere, anziché sopravvivere”. Pamela Trovato è la mamma di Giulio e Giorgio, e la moglie di Angelo. Le abbiamo chiesto di raccontare la sua famiglia e la sua quotidianità.

Raccontaci un po’ di Giulio e Giorgio, i tuoi bambini.

Siamo una famiglia come tante altre. I nostri bimbi, Giorgio e Giulio, hanno 7 e 9 anni: sono abbastanza impegnati e, per quel che possiamo, cerchiamo di rendere la loro vita la più serena possibile. Ci dedichiamo ai loro interessi: Giorgio ama il motocross e il jujitsu, con Giulio siamo impegnati con l’ippoterapia e spesso lo accompagniamo in chiesa a trovare un suo carissimo amico, Padre Orazio. Ogni tanto partecipa agli allenamenti di jujitsu con il fratellino, grazie ad una bravissima maestra e a uno splendido gruppo di amici che lo amano immensamente.

Viviamo in una zona periferica di Belpasso (CT), un paesino alle pendici dell’Etna ma sia io che mio marito lavoriamo a Paternò. Giulio è un bambino con disabilità, e tante attività che per molti sono scontate per noi non lo sono. A partire dalla scuola: a causa di una assistenza non adeguata e della lotta tra due Comuni, lo scorso anno ha dovuto trascorrere un periodo a casa. Nell’istituto che frequenta ora la situazione è molto diversa, le persone si mettono a disposizione e richiamano l’attenzione sul comportamento da adottare.

Come e quando è arrivata la diagnosi di malattia di Giulio? Che cambiamento è stato per voi come famiglia (anche per i nonni, gli zii)?

La diagnosi di Giulio arriva nel 2020, in piena emergenza Covid. Ricordo ancora quando il dottore mi chiamò per dirmi il nome della sindrome di nostro figlio. Quando chiesi: “e ora che dobbiamo fare?”, dopo attimi di silenzio che sembrarono durare un’eternità, mi disse che era necessaria una consulenza genetica, impossibile da effettuare in quel momento di emergenza sanitaria.

Il cambiamento non inizia nel momento in cui viene fatta una diagnosi e dato un nome ad una malattia. Inizia quando inizi a renderti conto che sta succedendo qualcosa ma nessuno è pronto a crederti e ascoltarti. Alcuni professionisti mi hanno detto che non dovevo confrontare lo sviluppo di Giulio con quello di Giorgio, che aveva solo bisogno di stare tanto tempo sul tappetone per irrobustire i muscoli del tronco. Dentro di me sapevo non era così, ho scelto di sperare di sbagliarmi.

Naturalmente sì, il cambiamento ha interessato tutti noi: genitori, zii, nonni, il fratellino Giorgio non saprei. Era talmente piccolo che non sono in grado di dire se la situazione lo ha cambiato oppure se gli ha dato la possibilità di crescere in maniera “diversa”. Ciò che ricordo bene sono gli occhi di Giorgio quando, dopo il parto di Giulio, sono tornata a casa sola, senza pancione e senza il suo fratellino perché era rimasto in ospedale per indagare una questione di salute. Parlando di cambiamento devo raccontare della forza di mio padre, che dal 2001 combatteva con tanta grinta contro una malattia che lo aveva colpito: ogni volta che guardava Giulio, quando provava a giocare con lui, leggevo nei suoi occhi tanta disperazione e tante domande che non ha mai avuto il coraggio di farmi. Cambiamento è anche una nonna che inventa un modo nuovo per giocare: con Giulio diventava una sfida, bisognava mettersi davanti immagini (CAA), tablet, fili collegati a giochi causa-effetto, cose del tutto nuove per lei. Anche un regalo di compleanno è diventata una scelta difficile.

Avete partecipato alle ultime Manifestazioni Nazionali UILDM a Lignano: come avete vissuto quelle giornate?

Sono state un modo per staccare un pò la spina dai nostri continui viaggi, che ormai definiamo “i viaggi della speranza”, alla ricerca di risposte e di suggerimenti che arrivano da professionisti per cercare di far vivere a nostro figlio una vita degna di essere vissuta. Grazie a quelle giornate siamo entrati in contatto con realtà che spesso non tutti conoscono; abbiamo toccato con mano che esistono strategie alternative in grado di consentire di muoversi con la propria carrozzina in una miriade di modi diversi. Questo ci ha fatto sperare che prima o poi riusciremo a richiedere per nostro figlio una carrozzina in grado di donargli anche solo un briciolo di indipendenza in più. E addirittura suonare strumenti musicali nelle condizioni più impensabili, con una capacità che ci ha fatto venire i brividi: dietro c’è il lavoro di persone meravigliose che pensano al prossimo, cosa non scontata.

Le Manifestazioni sono state anche un modo per mettere nero su bianco la situazione che abbiamo vissuto nel periodo della diagnosi. Momento che abbiamo affrontato completamente soli, cercando di proteggere il più possibile i nostri bimbi. Ciò da cui non siamo riusciti a proteggerli è stata l’esclusione di Giulio dall’ambiente scolastico: purtroppo ha dovuto vivere tutto in prima persona, il sentirsi escluso, il dover sentire ogni giorno “oggi non c’è nessuno che può cambiargli il pannolino e dargli da mangiare”.

Grazie a quei giorni abbiamo conosciuto altre famiglie e ci siamo sentiti meno soli. Vedere che, dopo tanti anni, c’erano genitori pronti a raccontarsi e ad affrontare le sfide di ogni giorno ci ha fatto trovare la forza per andare avanti ed affrontare il futuro con molta più forza e grinta.

Parlare di disabilità e saperla accogliere nelle comunità che viviamo è ancora difficile: cosa possiamo fare per migliorare, secondo te?

Tanti si sentono padroni di utilizzare termini che andrebbero trattati con i guanti. Disabilità, inclusione… abituiamo i bambini fin dai prima anni di scuola a Giornate come quelle dei calzini spaiati o simili, senza sapere veramente di cosa stiamo parlando. Lo dico con cognizione di causa: non è possibile trattare certi temi e poi vedere le stesse persone occupare, senza motivo, un parcheggio dedicato alle persone con disabilità. E certe contraddizioni riguardano anche i dirigenti scolastici.

Credo che, prima di trattare certi temi e togliere tempo alla didattica, il mondo degli adulti – genitori, insegnanti, dirigenti, servizi sociali – dovrebbe concentrarsi di più sull’educazione civica e concretizzarla nella vita di tutti i giorni. Non servono a nulla le campagne di sensibilizzazione se prima non facciamo nostro il concetto del rispetto.

A questo aggiungo che servono cose ben chiare: formare pediatri in grado di capire che le esigenze di una famiglia con un bimbo disabile non possono essere uguali a quelle di altre famiglie. Se chiedo una visita domiciliare, non posso sentirmi dire: “porti il bambino in studio”. Il raffreddore di un bambino con disabilità è più pericoloso perché, oltre a durare di più potrebbe all’improvviso trasformarsi in altro.

Serve poi ricordare che tutte le regioni d’Italia sono uguali ed in tutte le regioni purtroppo nascono bimbi con bisogni e necessità complesse, e bisogna essere in grado di dare supporto. Noi genitori di bimbi con disabilità siamo costretti ad affrontare continui viaggi: a breve, ad esempio, partiremo per avere un consulto riguardo alla migrazione della testa del femore di Giulio. In parole povere, dobbiamo portare un Rx dell’ anca a Reggio Emilia perché qui da noi nessuno si occupa di farlo. Non è giusto. Non possiamo affrontare sempre dei viaggi dove le compagnie aeree non mettono a disposizione sistemi posturali adeguati. Per giunta obbligano a sedere nelle condizioni più assurde un bimbo che non regge il tronco da solo.

Ottobre per UILDM è un mese pieno di cose importanti, a partire dalle Giornate Nazionali che danno supporto ai volontari in tutta Italia. Cosa diresti a chi ancora non conosce UILDM?

Direi che è una grande realtà e ancor più, una grande famiglia. Da modo a tante persone di vivere esperienze nuove, a tante famiglie di provare momenti di spensieratezza e libertà. Di ritrovare quella serenità che spesso manca a molti di noi perché sopraffatti dalle responsabilità che ci annientano.  Faccio un esempio semplice: mandare i nostri bimbi al compleanno di un compagno di scuola insieme a un volontario, senza la nostra figura di genitori sempre troppo presenti, rende la loro vita più indipendente e dà a noi genitori qualche ora di sollievo.

Intervista di Chiara Santato

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